LESS IS MORE

  di Andrea Guastella 

 

Less is more. Il motto di Mies van der Rohe, nato nel rigore del Bauhaus, dovrebbe star stretto a una pittura schiettamente figurativa come quella di Salvo Caruso; a me però sembra perfetto per definire la purezza dei suoi lavori, che ne fanno un testimone contemporaneo e insieme classico del paesaggio mediterraneo.  La sobrietà estrema è infatti una delle caratteristiche salienti del suo stile, che non concede nulla all’imitazione emozionata o emozionante di una certa veduta.  La semplicità di superficie del suo linguaggio minimalista sottintende, al tempo stesso, una ricchezza e una complessità di analisi, proprio come la frequente rimozione dei tratti più “poetici” della natura si pone come una presa di posizione netta rispetto alla vulgata di tanti conterranei.  Affatto interessata a una riduzione sentimentale del paesaggio, la pittura di Salvo si concentra soprattutto sui rapporti interni all’opera, riservando un’attenzione costante alle simmetrie e ai ritmi volumetrici e plastici.  Anziché riprodurre il visibile limitandosi a rispettare norme comuni di prospettiva lineare, egli ricerca, di volta in volta, una regola propria. Converte, ad esempio, attraverso messe a fuoco inverse il lontano in vicino e il vicino in lontano, oppure inscrive in un diagramma le forme annullandone la profondità spaziale.  E tuttavia, una volta stabilita, tale regola è applicata con la massima coerenza, rovesciando l’episodicità della rappresentazione a vantaggio di un ordine che trasforma il dettaglio, il particolare in paradigma dell’assoluto.  I lunghi soggiorni in studio nei pressi di Comiso, nel cuore dell’altopiano ragusano, sono per lui occasione di osservare, meditare e rileggere ripetutamente i medesimi aspetti del paesaggio, come le piantagioni di ulivi, i carrubi solitari, le case in lontananza.  Anche la luce che investe i soggetti, tranne poche eccezioni, è perlopiù quella del tardo pomeriggio e del crepuscolo. La scelta può spiegarsi con gli impegni di Salvo, che dedica le sue mattine all’insegnamento in un Liceo Artistico. Credo tuttavia che essa risponda a una precisa esigenza di chiarezza e distinzione: alle nostre latitudini, l’ultima luce consente di scorgere perfettamente gli oggetti e di condurre attività all’aperto senza ricorrere ad un’illuminazione supplementare. Sotto questa luce, a differenza di quanto accade nelle ore più calde del giorno, quando il sole acceca o comunque crea intorno contrasti chiaroscurali molto forti, le cose sembrano isolarsi dall’ambiente circostante e si offrono in silenzio alla contemplazione dell’artista.  In questa assidua meditazione, che ha il suo contrappunto in un’estenuante lentezza esecutiva, egli va pazientemente eviden  ziando l’ossatura nascosta del reale, la struttura geometrica e misurabile del cosmo.  I suoi dipinti e disegni risultano così animati da figure autonome, scultoree. E proprio alla scultura, alla sua unità fisica va ricondotta un’intensa attività ritrattistica, da leggersi in parallelo alla pittura di paesaggio.  I ritratti di Salvo possono suddividersi in un due gruppi. Nel primo, i personaggi, ripresi frontalmente o di profilo a pennellate larghe e corpose, occupano interamente il primo piano. Sono figure fisse, monolitiche, quasi inespressive. Tutto quanto è mutevole è stato eliminato. Nel secondo, egli preferisce concentrarsi su inquadrature ravvicinate e all’apparenza confuse e ricorre allo sfumato.  Non si tratta, in questo caso, di un cedimento a istanze liriche. Se Salvo si permette di dissolvere i confini delle immagini, ciò accade poiché egli, ormai del tutto padrone dell’assetto degli elementi di natura, sa ricomporli secondo una logica, una relazione, una sintassi intellettuale che è la vera ragione del suo essere pittore.